Il Silenzio degli Uomini

In co-produzione con
La Biennale di Venezia
Festival Internazionale di Abano Danza
Comune di Venezia

Coreografia e regia di Michela Barasciutti
Ricerca musicale di Stefano Costantini
Musiche: Istvan Marta, Eleni Karaindrou, Vladimir Vissotsky, Meira Asher, Mari Boine
Interpreti: Massimo Cerruti, Simonetta Dadamo, Nicoletta Cabassi, Laura Boato

Vogliamo parlare della guerra.
La storia dell’uomo è costellata di grandi evoluzioni scientifiche, ma sempre costante rimane lo spettro della guerra.
Anzi proprio la scienza ha evoluto la guerra fino a sistemi di sterminio sofisticatissimi.
E sempre sotto l’incalzare degli eserciti, sotto le bombe le vittime civili.
E quando diciamo “Vittime civili” diciamo donne, vecchi, bambini, che la guerra non l’hanno voluta, ma ne diventano protagonisti involontari e innocenti.
Il primo brano di Istvan Marta, ha in sottofondo come dei lamenti; si tratta di registrazioni “sul campo” di antiche canzoni che parlano di sanguinose battaglie.

La speranza di salvezza da questa follia viene con il brano successivo dove una frase riassume messaggio:
“Il mio nome è Rosa, e mi trasformo in una canzone per salvare il sogno”.

In questo momento si inserisce un brano tratto dal film Monsieur Verdoux di Chaplin con il monologo del, protagonista che analizza i rapporti economici che portano alla guerra: “solo affari” dice, e ancora riferendosi ai generali: “Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo; il numero legalizza”
La fase di apertura e di chiusura sintetizza il pensiero; alla domanda “Il delitto non paga?” risponde: “non quello al dettaglio”.

Questo messaggio si trasforma nel brano successivo in rifiuto contro i ruoli imposti dalla guerra, che l’uomo ha dovuto e ancora deve rivestire: l’aguzzino e la vittima, il cacciatore e la preda.
E per salvare la memoria di questi orrori, perché mai più si ripetano, ecco il testo al “vetriolo” di Meira Asher in risposta a Primo Levi: “Questo è un uomo”.
L’ultimo brano, quasi una ninna-nanna, è un sussurro in lappone rivolto al proprio uomo che dice; “Non partire, no, almeno tu non partire”, preghiera che abbiamo voluto leggere come l’ennesimo e definitivo rifiuto alla follia della guerra.
Se nei generali e nei politici “La Ragion di Stato ha cacciato la Ragione”, per gli “uomini” vivono ancora i motivi per rifiutare questa logica.